Per motivi lavorativi vado a Roma circa una volta al mese. Ogni volta rimango stupita ed estasiata nel vedere i cambiamenti della capitale che, mi regalano sempre nuova linfa, forse perchè non ci vivo, come mi dice spesso Silvia.
Questa intervista è stata fatta per capire chi lavora dietro le quinte della scena indipendente musicale italiana, per capire chi ha voglia oggi di organizzare un contest in Italia e chi, nonostante le delusioni, va avanti sempre e comunque credendo in un solo Dio: la buona musica.
Ultima premessa: dopo una cena a base di leccornie locali, ci prepariamo per l’intervista (sono le 3:30 circa di notte) e, il mio bellissimo registratore, decide di non partire. Peccato che non me ne accorgerò fino alla fine! Quella che leggerete, sarà la seconda registrazione avvenuta alle sei del mattino, quindi, ringrazio fin da ora Silvia per la sua infinita pazienza!
Chi è e cosa fa Silvia ed Inocula?
Questa è una bella domanda… non so Silvia è una persona che ha passato tutta la sua vita a pensare di cambiare il mondo e, quindi, ha passato gli ultimi 25 anni a cercare di fare prima il Presidente della Repubblica, poi ho capito che il Presidente della Repubblica non contava a un cazzo, poi Presidente del consiglio ma ho capito che anche quello nn contava un cazzo, poi l’Ambasciatore, poi il lobbista (risate)… fino che a un certo punto mi sono detta: perchè mi devo avvelenare il sangue per qualcosa che non esiste più? Perchè non addolcire il percorso facendo qualcosa che mi appaga e che poi avrei sempre voluto fare? Mi sono lasciata prendere dalla passione e dall’istinto. Così è nata Inocula, dalla necessità di aiutare a mio modo e far conoscere a più gente possibile una band che adoravo come i Luminal. Da allora niente è cambiato, l’obiettivo è rimasto sempre quello: far conoscere ad un pubblico sempre più vasto ciò che mi piace. Per questo ho continuato a fare mille lavori cercando di mantenermi. Mi piace dedicarmi solo ai progetti che mi interessano, quelli in cui credo veramente, perchè nel momento in cui io devo lavorare solo per fare i numeri non mi interessa, non ha senso… preferisco avere una sola band piuttosto. Ho passato mesi in cui non avevo nessuno in agenzia fino a quando non è arrivato Giovanni Truppi, per me è stata una folgorazione, mi ha dato anche lui una bella spinta. Però, ho passato veramente periodi che non avevo nessuno… che senso ha farsi pagare per un progetto in cui non credi? Se io non credo in un progetto come faccio a far sì che altri ci credano?
Esatto
E’ ovvio. E’ come se tu dovessi promuovere un video che non ti piace alle TV e che non è oggettivamente un buon prodotto…
Fin da piccola io sono sempre stata un’appassionata dei videoclip di Floria Sigismondi e, quando ho visto il primo video di Carlo Roberti (Solobuio Visual Factory) ho avuto la stessa botta emozionale, ci ho messo 2 anni a dirglielo e secondo me lui farà strada; in un futuro mi piacerebbe anche lavorare con Cosimo Alemà , fa delle cose strepitose!
Beh tu devi considerare che come dico a molti programmatori, Roberti è un regista cinematografico prestato alla musica…
Roberti se fosse in America sarebbe un Dio! Scusa la divagazione video ma ci stava, fa parte anche questo del nostro mondo.
In Italia molti musicisti non credono o sono contrari ai contest. Cosa ne pensi e soprattutto cosa ti dà la spinta per organizzarli e metterci tanta passione nel tuo lavoro?
Beh io posso parlare per il mio primo contest che sto realizzando: “Mai Dire Mei” e, posso assicurarti che, secondo me, è quasi più importante arrivare in finale e suonare su un palco come quello dell’Angelo Mai che vincere. E’ una forma di confronto e, comunque vorrei precisare che da questo contest non traiamo nessun guadagno. E’ solo un modo per far conoscere ad un pubblico diverso la tua musica, io la vedo semplicemente come un’opportunità.
Veniamo al progetto “Mai Dire Mei”?
“Mai dire Mei” è nato da un’idea mia, di Chiara Caporicci (MEI) e di Giorgina Pilozzi (Angelo Mai): l’intento è quello di unire la realtà dell’Angelo Mai e la realtà del Mei. Come ti ho accennato prima, non traiamo guadagno da questo contest, non chiediamo alle band quote di iscrizione, non versiamo soldi al Mei; diamo solo la possibilità alla gente di suonare su uno dei pachi più importanti di Roma e, paradossalmente è più importante per chi arriva in finale che chi vince perchè quei 12 che passeranno le selezioni, saranno a pari livello e, infatti, non vorrei essere nelle vesti dei giurati (risate). Diciamo che il progetto è nato anche per far conoscere alle band altre realtà, dalle quali magari possono scaturire collaborazioni, al di là della vittoria. Non a caso ci saranno anche delle “special guest” durante le serate.
Cosa ne pensi della scena indipendente italiana?
Se “indipendente” è farci tutto quanto da soli, tutta la vita! In Italia, invece schifiamo quello che è realmente indipendente. In Europa Indie come genere non esiste. Quando dici a qualcuno del nostro settore “commerciale” che, in poche parole, vuol dire popolare, sembra che uccidi qualcuno e che lo offendi mortalmente ma, in realtà, un pezzo commerciale può essere prodotto anche da una scena totalmente indipendente e, non capisco perchè, tutte le volte, lo si debba criticare sterilmente. In Italia “Commerciale” significa spocchioso ed ignorante; Commerciale invece vuol dire che è di tutti, che arrivi al popolo, cazzo! Un pezzo commerciale ti può attirare ed incuriosirti verso un’artista e scoprire così anche una profondità e magari il significato ironico di quel pezzo e, ovviamente, non è detto che un buon pezzo commerciale non sia prodotto proprio da un’artista indipendente.
Cos’è che alla fine nonostante le delusioni (che ci sono sempre nel nostro lavoro) ti porta ad andare avanti?
Quello che ricevo dagli artisti, quella soddisfazione, il godimento di vedere la loro crescita professionale/artistica su un palco, vedere che riescono a coinvolgere il pubblico che magari non è lì per loro. E’ un’energia che ti torna indietro e ti fa dimenticare qualsiasi boccone amaro.
Inoltre, fino a che il nostro lavoro ci porterà in contesti come quelli di “Carovilli” e di “Nuvole di Chitarre e Note” per Danilo Ciolli, tutto avrà un senso per noi addetti, noi musicisti, noi pubblico. Ad esempio, siamo stati due giorni a Capovilli per questo ragazzo morto nel terremoto dell’Aquila e, sono stati giorni meravigliosi! Non c’è stato un secondo, dopo quell’evento, in cui mi sono detta: ma io che cavolo faccio nella vita. E’ anche questo quello che ti fa andare avanti, ti allieva, aiuta, ti nutre. Questo deve essere lo scopo di tutto alla fine, anche della vita.
Cito Capovilla: La vera politica non è nei partiti ma alla fine in quello che fai …
Esattamente!
Hai vissuto a Berlino, che differenza c’è fra il locali Europei e quelli italiani?
Beh enorme (risate). Fondamentalmente è l’approccio del pubblico e anche del gestore del locale. Il pubblico è abituato ed educato ad uscire per ascoltare musica nuova mentre beve una birra, anche se non sono in compagnia. Insomma qui in Italia si fanno le cene mentre gli artisti suonano, ma cos’è?
Non c’è rispetto neanche per chi è sul palco…
Sì ma non è soltanto quello, è che comuque il pubblico è distratto e ascolta quello ben poco di ciò che gli arriva all’orecchio e sopratutto, secondo me, si ricorderà ben poco di quell’artista visto che non lo guarda nemmeno. Poi anche i gestori dei locali europei sono più aperti mentalmente verso i nuovi gruppi ma proprio perchè sanno di avere sempre un pubblico. E’ una questione di mentalità.
Com’è la scena dei locali live romani?
Triste, molto triste…
Beh, allora noi cosa dovremmo dire? Insomma avete comuque delle belle realtà
Sì ma confrontandola con quella di altri anni, fidati è triste. Una delle poche realtà che mi piace è L’Angelo Mai che, secondo me, si può considerare per la sua programmazione e mentalità un club europeo.
L’Angelo Mai spazia: musica, teatro, performance… chi non c’è mai stato non lo può capire.
Pensa che quest’inverno erano aperti anche 3 sere a settimana e io sono stata capace di andarci 3 volte alla settimana per tre mesi (risate). Questo perchè ero sicura che c’era sempre qualcosa di interessante.
Senza guardare un programma magari
Brava! Ti posso citare tre eventi dell’Angelo Mai che mi sono piaciuti veramente tanto, oltre a “Pic Nic Champagne”:
Sandro Joyeux, nonostante sia il mio genere, dategli una chitarra in mano e diventa un mostro; lo spettacolo di Vera di Lecce e il tributo a Piero Ciampi.
In cosa crede Silvia Quattrociocchi?
Credo in quello che le persone si creano con le proprie forze.
Guarda i Betty Poison, no? Non sarebbero mai arrivati dove sono, neanche con uno staff di 30 persone… ci sono arrivati perchè Lucia si è spaccata le ossa, si è creata le opportunità. So che quello che sto dicendo ora è controproducente per la mia professione ma è quello che penso.
Alla fine è così anche per noi…
Esatto, se io alla fine ho creato qualcosa è perchè ci ho creduto io per prima. Quando ho cominciato io non avevo nessuno. Se non ci foste stata quella necessità, in quel momento di portare all’attenzione dei media quel progetto (Luminal – “Tattica e Disciplina”), forse Inocula non sarebbe mai nata; forse avrei continuato tutta la vita a fare un lavoro frustrante come quello che facevo e non mi sarei mai dedicata totalmente alla musica.
L’uscita del disco dei Luminal mi ha dato la spinta, poi, successivamente, è stato un parto fare solo quello. E’ da Maggio che faccio realmente solo questo lavoro, ho continuato a fare la doppia vita per un anno e mezzo. Lavoravo alla notte su Inocula e poi il giorno andavo in ufficio e, forse, se non c’era la voglia di far emergere il progetto Luminal, per quello che uno poteva fare, sicuramente non sarebbe mai nata l’agenzia. In realtà in Inocula c’è un po’ di tutti loro.
Visto che questa intervista uscirà postuma all’evento, so che lunedì 30 Agosto parteciperai alla serata “Parole di Lulù”…
All’interno dell’Angelo Mai si sono create delle dinamiche allucinanti, siamo diventati veramente una famiglia, quella è diventata realmente una casa e Nicolò fa parte di tutto questo, quindi, anche se parecchi di noi, io inclusa, non abbiamo rapporti diretti con lui, senza fare retorica (comunque quello che gli è successo io non potrò mai capirlo non avendo figli e non ne voglio neanche parlare), penso che quello che sta facendo gli faccia onore. Quello che vedo io è che lui sta cercando di incanalare il dolore per cercare di trarne qualcosa di positivo per gli altri però, non per lui. Lo scopo fondamentale è quello di costruire un’ospedale pediatrico in Africa , noi faremo quello che nel nostro piccolo ci sarà da fare…se servirà raccogliere una carta per terra, vendere una maglietta piuttosto che spostare un pacco da un posto all’altro o portare una bottiglia d’acqua sul palco. Magari ci fossero 1000, 2000, 3000 di queste iniziative! Io spero che, quando i lettori leggeranno, ci saranno già dei numeri e magari a livello umano lui si senta più leggero, cioè tutta quella gente che gli starà a fianco lo renda un po’ più leggero… così come ha fatto lui con le sue canzoni a tante persone. Per me è un approccio a questo evento più umano che da fan, avendo avuto anche una storia particolare di perdite familiari, non lo so mi sento vicina a Niccolò, pur non conoscendolo. Il fatto è che questi personaggi , quando hanno deciso di fare questo mestiere, le loro canzoni sono diventate nostre e loro sono diventati parte della nostra famiglia; è così, per quanto mi riguarda. Capirai, noi non contiamo niente, però sì, in “Parole di Lulù” ci sentiamo di fare questo.
(si può acquistare ancora la maglietta “Parole di Lulù” per sostenere il progetto. I soldi ricavati dalle vendite serviranno per coprire le spese medicali per un anno dell’ospedale. I soldi per la costruzione sono stati, infatti, già raccolti, insieme alla felicità ed ai ringraziamenti delle persone coinvolte. Info: http://paroledilulu.stilo-studio.com/category.php?id_category=5)
Chiudiamo sempre le interviste chiedendo di lasciare una dedica/messaggio per i nostri lettori, quindi c’è un commento che vuoi lasciare nel nostro Guestbook?
Per chi suona: cercare di conservare sempre lo scopo primario che li ha portati a cominciare a suonare , quindi suonare per godere, in quanto quando ti cominci a chiedere :”Io devo arrivare” è finita, non ha più senso. Come noi, nel nostro lavoro, non ha più senso se non hai la passione.
Per chi ascolta: cercare di essere più puri possibile.
Mi ricorderò sempre quando una mia collega portava lì sua figlia e io le facevo fare i report su ascolti di artisti emergenti ed era impressionante quello che scriveva e soprattutto come votava. E’ un genio quella bambina!
Per i nostri colleghi: prendersi meno sul serio ed evitare che si creino ancora di più microsistemi ma cominciare con collaborazioni e, soprattutto ridere di noi stessi (risate).
(Stakanovista Rock)