Il Cambiamento in mezzo alla Tempesta.
La confezione di Tempesta di Fiori è perfetta.
Arrangiamenti meravigliosi, pop, certo, ma vari e molto curati.
Melodie dotate di spessore che svicolano dalla banalità e dai limiti della forma canzone grazie a inserti (voci sullo sfondo delle musiche, risate, brani di conversazioni…) piuttosto originali.
Testi che, pur mantenendosi sul filo di una vicenda amorosa, sono impreziositi da un lessico ricercato ma comunque immediato, insomma proprio come ci si aspetterebbe da un’anima poetica come quella di Chimenti, che nella sua carriera solista si è sempre proposto come un cantautore raffinato e prezioso, coraggioso sia per quanto riguarda la complessità musicale e lirica dei suoi lavori, sia per quanto riguarda altri aspetti:
basti citare l’ambizioso (e secondo me, ben riuscito) tentativo di trasporre musicalmente alcune delle più belle poesie di Giuseppe Ungaretti, con il disco Il Porto Sepolto del 2002, oppure ChimentidanzaSilenda, un dvd che ripercorre attraverso uno spettacolo di danza la carriera dell’artista dagli anni ’80 ad oggi.
Si può ben dire che Chimenti ci ha abituato bene, e che di sicuro questo disco non tradisce le aspettative, almeno per quanto riguarda il lato ‘formale’ del lavoro.
Se però al primo ascolto può sembrare un album piacevole e sopra la media, riascoltando Tempesta di Fiori si incominciano a rivelare diverse pecche che, ahimé, non possono passare sotto silenzio.
Infatti vanno bene le dichiarazioni d’amore, e anche gli echi di un certo manierismo nel comporre i testi, ma “Bellissima” ha dei tratti che mi lasciano alquanto perplessa: “E anche questo divano cos’ha/sembra trainato da renne/da quando ci sei tu appare tutto diverso/guardo le finestre, che c’è?/c’è fuori l’universo/e il soffitto è il cielo/un po’ banale ma vero”.
Le sferzate che arrivano da brani molto più riusciti, quali la bellissima “Feroce e Inerme”, “Sangue” o “Qualcosa Cambierà”, dove i fiori della tempesta germogliano di desiderio di cambiamento e di rivoluzioni interiori, sono mitigate da episodi a mio parere molto meno riusciti, in cui la sensazione è quella che la scintilla di ispirazione di Chimenti non fosse sufficiente ad animare un’intero brano.
Oltre alla già citata “Bellissima”, “Perduto” cede fin troppo al gioco e perde sostanza fino a tramutarsi in un esercizio di stile quasi kitsch; divertissement originale, forse, ma che spezza ingiustificatamente il tono del disco.
Ineccepibile invece la cover della splendida “Vorrei Incontrarti” di Alan Sorrenti, già coverizzata in passato dai La Crus (l’album è Crocevia, 2001), che Andrea Chimenti fa sua con maestria e calore.
Echi del Paolo Benvegnù di Piccoli Fragilissimi Film si trovano nella visionaria “Il Cielo Che Si Avvicina”, in cui fra immagini sinestetiche in cui il protagonista del brano si congiunge empaticamente con la natura in una sorta di esperienza mistica, spunta, in una collaborazione davvero ben assortita, la voce delicata ed eterea di Valentina Cidda, front-woman degli aretini Kiddycar, che regala senz’altro un valore aggiunto alla canzone.
In conclusione, “Tempesta di Fiori” si presenta ai miei occhi come un’opera senza dubbio ben prodotta, in cui l’aspirazione di Chimenti di sperimentare nuove strade e in un certo senso di lasciar cadere quella patina di cantautore “pesante” e forse troppo serioso che gli era stata assegnata a causa degli album precedenti, trova però sfogo in composizioni di qualità incostante. A brani particolari e originali, che ci rimandano direttamente al “mentore” di Chimenti, ossia quel David Sylvian che negli anni ottanta ha dato un contributo a mio parere imprescindibile alla storia della musica con i Japan, si alternano fuochi fatui, canzoni più convenzionali, in cui la perfezione estetica di testi e musica talvolta lascia trasparire una sorta di carenza di reale spinta, reale calore.
Chimenti stesso, sulla homepage del suo sito ufficiale afferma che in questo album ha voluto rendere il momento in cui un desiderio di cambiamento si manifesta, sempre improvviso, sempre inaspettato, con conseguenze che non possiamo prevedere.
Un edificio crepato non sapremo mai in quale preciso istante potrà crollare: potremo illuderci di calcolare, potremo prepararci mentalmente, ma nulla può una teoria o un’ipotesi rispetto alla forza di un’esperienza vissuta.
Forse è proprio questa sensazione di “rimanere spiazzati” di fronte al verificarsi di un evento o, appunto, di un cambiamento, che ha dato origine all’ultimo lavoro di Chimenti: e allora quelli che potremmo considerare come i punti deboli del disco, gli angoli poco affilati e poco taglienti, non sono altro forse che in realtà piccoli incidenti su un grande percorso.
Non resta che aspettare il prossimo album.
(Giulia Delprato)