Secondo album per Nicola Pellegrino, alias Nicodemo, cantautore campano, circondato in questa sua nuova opera da una serie di nomi illustri che partecipano allo sviluppo di In Due Corpi: Andy dei Bluvertigo, Luca Urbani dei Soerba, Carmelo Pipitone dei Marta Sui Tubi, Raffaella Destefano dei Madreblu, Sarah dei Diva Scarlet e tanti altri. Come anticipato è un lavoro di stampo cantautoriale, ma che non rinuncia a sperimentare, per dare a questa antica e nobile definizione nuove prospettive e significati.
Difficile (almeno per me) estrapolare singoli brani da questo lavoro, in quanto sono collegati tra loro in maniera sottile ma inscindibile, creando un unico percorso che parte da “Le Pareti” per concludersi con “Autunno”. Durante tutto questo viaggio la voce di Nicola, è sempre in primissimo piano, molto “vicina”, con un tono dolce, malinconico e suadente, da crooner scafato, mentre un passo più indietro raffinate trame musicali accompagnano, svariando dal pop al jazz. Uno degli aspetti più rilevanti di In Due Corpi sono i testi. C’è un uso magistrale del nostro idioma, un vocabolario ricercato e vario, lontano anni luce dalle banalità a cui ormai purtroppo siamo assuefatti; il tutto coronato da ottime interpretazioni che dipingono immagini e danno forma ad inquietudini, paure e solitudine. Insomma, per chi ama i cantautori meno convenzionali, penso a Battiato in primis, ma anche ad alcune cose di Morgan (solista e anche coi Bluvertigo), l’ascolto è praticamente obbligato, In Due Corpi è un album ottimo. Per tutti gli altri, me compreso, il discorso è un po’ più complesso, e ora probabilmente capirete perché questa recensione suona inevitabilmente fredda, nonostante le belle parole spese. Premetto che è un album ineccepibile, curatissimo, elegante ed intelligente, ma non è per tutti, in quanto la grande ricerca sonora e linguistica ne limitano inevitabilmente l’impatto, a tratti mentre lo ascoltavo immaginavo questi brani suonati più in piccoli teatri, nei caffè letterari o in jazz club piuttosto che su un disco. L’ascolto di questo album è risultato per me alla pari di una chiacchierata con una persona colta ed intelligente, che magari ti racconta un sacco di cose interessanti, ma lo fa in modo tedioso; non ti spieghi cos’è, ma c’è qualcosa che non ti farà desistere dal tornare a cena con lui… torni a casa e ti senti quasi in colpa per averlo reputato tale, e ti dai del rompipalle. Infatti confesso che provo un po’ di imbarazzo nel dire di non essere stato rapito da un album di questo livello (ribadisco che è indubbiamente un disco di pregevole fattura) e di avere fatto molta fatica ad ascoltarlo tutto in una volta, ma così è stato. Ho trovato le canzoni molto simili tra loro, e anche il cantato/parlato un po’ monotono alla lunga distanza, ma voglio sottolineare che sono considerazioni molto, molto soggettive.
Conclusioni? In sintesi se non potete fare a meno di refrain da cantare in macchina in mezzo al traffico e chitarre distorte, saltate a piedi pari, ma se il cantautorato italiano è il vostro pane e cercate qualcosa per cui valga la pena fermarsi ed ascoltare, questo è il vostro disco. Da che parte state?
(Andrea Gnani)