Ti parlo chiaro: Avrei potuto fare questo Live Report affacciato alla finestra della camera prenotata e gentilmente offerta da Shiver (cioè da me medesimo) e scrivere della seconda, e conclusiva, serata del Frequenze Disturbate 2010 senza fare nemmeno un passo. Volendo avrei potuto stendermi anche sul letto, portatile alla mano e cercare di immaginare ciò che mi sarei perso da spettatore sotto al palco. Però così sono capaci tutti di scrivere un live report; metti sù un disco live, meglio se un bootleg, facciamo dei Pink Floyd o dei Nirvana: Te ne resti lì ad ascoltare, cercando di scandagliare l’atmosfera che si respirava in quei luoghi, ma il punto è proprio quello; cercare di immaginare non significa esserci. La differenza è tutta lì. Quindi alle 21 si scende e ci si incontra con la gentilissima Annachiara Pipino (DNA Concerti) per il ritiro dei pass e le disposizioni su come/quando/perchè fare le foto agli artisti della serata (e quì aprirei un piccolo capitolo sul perchè fare foto solo durante i primi 3 brani o dopo mezz’ora dall’inizio del concerto; E se dai il meglio di te proprio quando non si possono fare foto? come la mettiamo?) e ci avviciniamo al palco (la mia spalla fotografica questa sera, come sempre, è Anna). Ci sono Denise e la sua band. Sul cartellone non c’era traccia della sua performance e riusciamo a vedere solo gli ultimi due brani; Voce cristallina, suoni leggeri ed impalpabili, a metà strada tra l’ugola fatata di Alison Shaw dei Cranes, gli italianissimi LE-LI ed i Mùm davanti ad un camino acceso. Troppo pochi però due pezzi per capire l’effettivo valore dell’ensemble. Da riascoltare.
E poi inizia a calare la sera, ed Urbino non è esattamente Bologna o Ravenna; quì Agosto chiede il permesso per entrare, si respira una bell’aria fresca (e se te lo stai chiedendo la risposta è no, non ho ricevuto alcun compenso dal Comune per promuovere il Turismo o le vacanze estive ad Urbino) e non c’è traccia del caldo che ti stringe la gola e del sudore che ti si appiccica addosso dopo la prima birra. Della frescura serale se ne lamenterà anche Erlend dei Kings of Convenience (si, stai sorridendo, ma è così; il NORVEGESE ha faticato ad accumulare il giusto calore durante i primi brani, ma questo forse te lo racconto dopo), d’altronde non c’è nemmeno il tempo per pensare alle condizioni climatiche cha sale sul palco Davide Combusti. Visto due volte nel giro di un mese e mi ha lasciato in tutte e due le occasioni a bocca aperta. The Niro sfodera una classe nel cantare da ammutolire pure chi si trova all’esterno dell’area (non vorrei sbagliarmi ma sugli acuti di “Liar” ho udito diversi bicchieri di vetro esplodere); alterna il suo live set con un paio di brani intimi in cui canta da solo sul palco e sembra si senta nudo e vulnerabile tanto è intensa l’esibizione, che sulla cover, ormai sua, di “Summertime” verrebbe voglia di salire sul palco ed abbracciarlo e dirgli di smetterla altrimenti quì si torna a casa coi lacrimoni, però lasciamo che finisca il suo set che spazia dalla già citata “Liar” a “So different”, e “About Love and Indifference” del primo album a “London Theatre”, “Stop it” e “When your father” pescate dal secondo album Best Wishes. Toccante.
Un dubbio però mi ha assalito durante l’esibizione di Davide insieme alla sua band e mi sono chiesto più volte; “se questi ora se ne stanno seduti (tutti tranne il Combusti), dobbiamo aspettarci i due Kings of Convenience sdraiati su un lettino a declamare il proprio amore per la musica?”. Per fortuna tutto ciò non è avvenuto anche se quattro sgabelli (gentilmente offerti da un bar nella piazza retrostante il palco, forse la stessa dei bicchieri rotti di cui sopra) facevano bella mostra di sè durante tutto il concerto del duo. Intanto il cielo spara stelle a fare da scenografia all’ultima esibizione. Gli headliner si appropriano del palco quasi come se fosse vietato toccare qualsiasi cosa perchè estremamente fragile. Timidi e un po’ goffi, sembrano al loro primo concerto in assoluto ma credo sia dovuto soprattutto al fatto di stabilire un contatto iniziale tra loro, la musica ed il pubblico. L’inizio vede i due gestire il palco da soli con un set confidenziale (io avrei allestito la platea con sedie, poltrone, divani, cuscini, così da mettere a proprio agio anche chi era sotto ad ascoltare) e scarno; solo voci e chitarre ad accompagnare “My Ship Isn’t Pretty”, “Mrs Cold”, “Cayman Islands” e “Love is no big truth”. Erlend però si lamenterà più volte, preso in giro anche da Eirik, del fatto che pur essendo estate e venendo dalla Norvegia, sente freddo alle dita; Epperfortuna che aveva dietro il maglioncino altrimenti toccava chiedere (dopo il bar per gli sgabelli) se fosse stato possibile reperire un indumento con il quale restituire un’adeguata temperatura corporea alle dita. I fotografi a lato intanto fremono e aspettano un segnale dall’organizzazione perchè ci sono state disposizioni rigide; Per la prima mezz’ora non sarà possibile fotografarli. Forse perchè devono carburare durante i primi pezzi, e vedere 5/6 sagome in continuo movimento, nelle pose più strane, non avrebbe aiutato la ricerca della giusta concentrazione. O Forse perchè rendono di più in foto quando sono in 4. Vallo a capire. Sta di fatto che carburano per bene, per la gioia dei fotografi, soprattutto quando si presentano sul palco anche Tobias Hett e Davide Bertolini (rispettivamente violino e contrabbasso) i quali donano maggiore movimento alle composizioni e tra una “Stay out of Trouble”, “Toxic Girl”, “I’d rather dance with you”, “Misread” ed un paio di accenni al ritornello di “Nel blu dipinto di blu” (Il rosso chitarrista sarà il vero intrattenitore della serata; cerca il coinvolgimento del pubblico che gli regala una “pioggia” fatta da schiocchi di dita e cori più o meno intonati) si arriva alla conclusione della serata con un bis da scompiscio. Ormai siamo al conto finale ed i quattro sono galvanizzati dal pubblico tanto da coverizzare in bossanova-style la colonna sonora della Pantera Rosa, “Hit the Road Jack” e “I was made for loving you baby” dei Kiss. La band ringrazia e si defila. Il pubblico se avesse potuto li avrebbe fatti suonare per tutta la notte (io però a quel punto li avrei ascoltati volentieri anche dalla mia camera), le luci si fanno aspre, risvegliando chi sognava ad occhi aperti e la gente comincia a lasciarsi dietro, ma anche un po’ dentro, la serata finale di questo fascinoso Festival.
(Antonio Capone)
Foto: Anna Blosi