Certe immagini sono potenti come può esserlo una canzone o un intero album.
Prima ancora di ascoltare l’album di Davide Tosches mi è capitato di guardare le foto inserite nel presskit a corredo del suo disco d’esordio e ne sono rimasto affascinato. Ma una su tutte mi ha accompagnato durante tutti gli ascolti del disco e vorrei che fosse ben impressa anche sulla tua retìna: Una piccola luna piena posa vanitosa sullo sfondo scuro della notte. C’è un prato e una lampada, di quelle vecchie e un po’ storte (oggi diremmo vintage) che si ereditano dai nonni o si acquistano nei mercatini dell’usato, non particolarmente bella ma con personalità, la sua luce rischiara, in un cerchio di luce ambrata, una comoda poltrona sfondata su cui è seduto un pensieroso ragazzo. Quel ragazzo è Davide ed al suo fianco c’è una chitarra. Dietro, alla sua sinistra, c’è uno scorcio di civiltà; delle luci di case, forse la sua, forse solo i lampioni di una strada vicina.
E con questa istantanea mentale ho iniziato a scrivere. La mia stanza si è fatta buia. Le pareti dissolte dall’oscurità, intorno a me fili d’erba spuntano dal pavimento, eppoi c’è Davide che imbraccia la sua chitarra. Immagino la gestazione di questo album proprio con questi elementi (quelli della foto descritta) a fare da prezioso contorno. Tutto nel disco ha quel sapore agreste, genuino e leggermente inquieto che puoi trovare nella semplicità della natura, soprattutto nei momenti in cui l’umanità va a dormire e lascia il posto alle ombre notturne. Sembra scritto, suonato e cantato in una sola notte, un viaggio iniziato con il morire del sole e terminato al limitare dell’alba; che parte con i sussurri e le luci di “Case”; il suo richiamo per uccelli attira a sè il ricordo di un altro brano, quello scuro e tormentato dei conterranei Petrol (“Cera”) e si conclude con una sorta di ninna-nanna mattutina per la notte che va a riposare (“Nell’Ombra”). Tosches canta come se non volesse destare dal sonno chi abita in quei luoghi (fisici e immaginari), da crooner del bisbiglio, dove la sua voce è un caldo sussurro all’orecchio per quasi tutta la durata dell’album (sono solo un paio, i momenti in cui la voce del cantautore torinese si alza dalla poltrona per farsi udire per bene) e pure gli strumenti sembrano modulati per aderire al paesaggio circostante. In tutto l’album si respira un aria rarefatta; c’è odore di erba bagnata dalla rugiada, di folk rock arido e ipnotico (“Deserto”), di violini che pungono il cielo (“Completamente” e “La sviolinata”), di grilli che fanno la corte alle stelle, di avvolgenti cori femminili trasportati dalle correnti d’aria del Foehn (“Case”, “San Sebastian /Ulan Bator”, “Nell’aria”, “Deserto”), di sonorità country da consumare in silenzio (“La tua stella”), di pulviscoli lunari di glockenspiel, di dolorose e romantiche litanie Caveiane (periodo No more Shall we part) in “Dove l’erba è alta” e “Completamente”, di fruscii sconosciuti tra gli alberi, di blues crepuscolare (“Nell’Aria”) e di ululati che cercano di riportare indietro la notte. Anche i testi sembrano percorrere questo viaggio personale e solitario, disegnando una parabola che parte dalla luce degli astri notturni e termina nel tiepido bagliore del mattino, e sentirsi in simbiosi con l’ambiente circostante tanto da “desiderare di essere vento per un momento/considerare limiti e strade/alberi e ombre/oltre la mia casa (…) ora pensieri di quiete e mistero nel buio” (“Case”) oppure “vieni notte/tienimi stretto e accompagnami/fino al fuoco sull’orizzonte/fino al canto perfetto del gallo” (“Dove l’erba è alta”), giusto per citare le due canzoni, a mio avviso, più belle dell’album.
“Dove l’erba è alta” è un album pieno anche se essenziale. Tutto sembra perfettamente in equilibrio tra buio e luce, tra silenzio e parole. Qui tutto ha il sapore di un ricordo lontano, ingiallito dal tempo ma ben impresso nella memoria, che riaffiora ogni volta che ci si siede su quella poltrona sfondata. E ora che si è fatto quasi giorno Davide si alza e torna a casa. Io invece mi siedo al suo posto e aspetto che ritorni non appena farà buio.
(Antonio Capone)
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