Stacco in velocità alle 20 dal lavoro, salgo in macchina, pizza in macchina, carico gli amici in macchina, mi cambio d’abito in macchina (come le star, come le adolescenti, come sempre), destinazione Carroponte, Sesto San Giovanni, concerto degli Afterhours. Ho già avuto modo di stupirmi di che struttura interessante sia Carroponte. Un bel posto, non mi meraviglierei se Claude-Louis Navier avesse fatto un sopralluogo qui per i suoi studi. L’architettura del ferro di Carroponte illuminata rosso fuoco in fascia serale crea un clima da festa dell’unità sotto la torre Eiffel, “volemocebè, mes amis, voulez vous d’Escargotz?”
Siamo in ritardo, certo, è sempre colpa mia che voglio fare tutto, una Jamie Sommers dei giorni nostri con un’agenda setting incorporata nell’orecchio destro. Con un giro sommario di Sesto, qualche semaforo di troppo e una buona dose di fortuna parcheggiamo non troppo distante.
Lo shock è nel vedere la fila a ferro di cavallo che circonda Carroponte.
Le zanzare stile “aggressive” fanno di noi carne da macello (non fate quella faccia, saranno guest star di tutti i live report estivi, esse mi pagano per essere citate). In coda c’è solidarietà e siamo tutti amici – guarda quegli stronzi* che passano avanti, che mi regaleresti una sigaretta?, due ragazzi di Pescara davanti a me che si baciano appassionatamente per 25 minuti buoni, manco fossimo a Woodstock, noncuranti dell’afa e della catastrofe che si sarebbe consumata lenta e inesorabile di lì a qualche minuto: probabilmente avrebbero iniziato il concerto mentre noi eravamo lì in fila a farci divorare i cm di pelle esposti al chiaro di luna e con il mal di pancia per la pizza mangiata troppo velocemente. Così è stato: la voce lontana di Manuel Agnelli non ci aspetta.
Appena passiamo le casse si corre verso il palco. Ti sembra facile???
Saltiamo le persone, gomitate democristiane, passiamo tra gli umori odori della gente che canta già, che sorride, che tracanna birra come se fosse l’Oktoberfest, che non gliene frega niente se gli pesti i piedi involontariamente, loro sono come Bernadette Soubirous nella Grotta di Massabielle.
Si riconferma che i miei concerti più umidi sono stati quelli degli Afterhours.
Arrivo con fatica al mixer, riprendo fiato e alzo gli occhi: se nel 1995 avessi visto un concerto degli Afterhours sarebbe stato, credo, più o meno così. Ma io all’epoca ero ancora in lutto per la morte di Freddie Mercury e ascoltavo tutti gli album in cassette, chiusa in cameretta a imparare a memoria i testi pensando al mio primo fidanzatino bello e dannato; di Manuel Agnelli nella mia santa casa nemmeno l’ombra, al massimo si parlava di Agnelli immolati doc.
Capelloni, smalto nero, pelle, rock duro.
Xabier Iriondo, ritorno chiacchieratissimo, indossa un’ imbracatura da montagna ma in testa. Questa cosa ha tanto impressionato me e il mio animo delicato. Le movenze sono quelle. Le tavole di led sparano negli occhi come se fosse il concerto di Madonna. Al posto di Dario Ciffo, al violino Rodrigo D’Erasmo non fa una piega, bello e bravo.
Giorgio Prette è fratello di Manuel Agnelli quindi gli si perdona tutto anche qualche sbavatura qua e là. Giorgio Ciccarelli e Roberto Dell’Era me li sarei goduti di più se i volumi non fossero stati così bassi (altro tema prepotente tra la folla soprattutto post concerto, Milano ahimè).
La voce di Manuel Cristo Agnelli incanta e ferma il tempo come una rivoltella puntata in fronte. Snocciolano con nonchalance come se il tempo non fosse passato e li avesse condannati a rimanere violenti e neri per sempre, brani dei primi due dischi Germi e Hai paura del buio?, anche quei pezzi che non sono soliti eseguire dal vivo.
Qualche rara, rarissima parola ogni tanto tra una canzone e altre tre.
“Germi”, “Siete proprio dei pulcini”, “Strategie”, “Posso avere il tuo deserto?”, “Punto G”, “Male di miele”, “Dea”, “Rapace”, “Varanasi Baby” , “il Paese è Reale”.
Sono forti questi Afterhours, non c’è che dire, ma cos’è allora questa cosa incompiuta che ho tra le mani?
Manca qualcosa, mi manca adesso: Quello che non c’è cito. Non esplodo, non mi lancio in aria, non svuoto la testa.
Non sono capace io stasera o loro non sono il mio treno giusto? Decido di allontanarmi.
Una mezza naturale grazie e mi sdraio sul prato dove mi arrivano i suoni opachi di questo rock cattivo ma non troppo e capriole luminescenti. Sono rimasta lì per un po’ a guardare i figli di Manuel Agnelli. Una ragazza bella seduta su una sdraio accanto a me stesa a terra è una cosa semplice.
Finisce il concerto e non me ne accorgo quasi. Cerco di capire che cosa non ha funzionato nonostante tutti i presupposti ci fossero. Sono un po’ delusa forse ma non me lo voglio troppo dire perché loro sono gli Afterhours e io sono sempre io.
Stabilire un contatto visivo costante e ravvicinato mi avrebbe aiutato?
Non aver fatto dieci ore di lavoro magari ha influito?
O le aspettative che mi hanno sempre fregato alla grande fino ad ora si confermano il disastro dell’umanità?
O forse è tutta una strategia.
Per avere voglia di aspettarli ancora.
* in questa occasione ho potuto esporre il significato della denominazione “svelto di pedaso” tipica espressione locale della mia regione, le Marche, per indicare persona capace di trarre vantaggi dalle situazioni agendo con prontezza e senza scrupoli spesso a discapito di qualcun altro.
(Chiara Gandolfi)
Foto: Carlo De Filippo