Il diavolo oggi vende coperchi usati.
Non vi racconterò strani ed esilaranti aneddoti della mia adolescenza – e della mia formazione calcistica terminata con la partita dell’ultimo anno al liceo -, né del Vaticano stanco e dei nuovi nuovissimi magni e deluxe delitti eccezionalmente gravi – e se l’Accademia dei Fratelli di Beccaria avesse potuto accoglierli, di grazia – né di Ettore di Perignano che a 3 anni legge i quotidiani – e delle nostre invidie da adulti navigati quasi affogati nei 7 peccati capitali ma senza una genialità conclamata. Per tutti questi argomenti vi rimando al prossimo concerto di Moltheni. Ok, non volevo partire dalla fine svelando i misteri dolorosi così su due piedi e infilando il coltello nella ferita già sanguinante ma così è. Pare che sia stato l’ultimo concerto a Milano di Moltheni ieri sera al Magnolia in occasione dei festeggiamenti dei 5 anni di attività dell’agenzia di management e ufficio stampa Artevox, Eh già. Quanto sei triste adesso? Bene.
Se fa abbastanza caldo (e non ne ho dubbi in qualunque parte della penisola tu sia) e ti ho abbastanza intristito o sei già malinconico di default (ma se ascolti un certo tipo di musica apocalittica e introspettiva non puoi non esserlo, e se stai leggendo la ascolti come me) puoi continuare.
Partirono in due ed erano abbastanza.
Ore 18.53. Dopo un set acustico ventilatore + frigo durato un giorno intiero decido che mi immolerò per Artevox gettandomi sprezzante del pericolo nella Milano campo da guerra idroscalo Magnolia nel pieno dei bombardamenti di zanzare F 22 Raptor.
A Sassomarconi incontrammo una ragazza.
Si chiacchiera di iacuzzi e nutrie, di piccoli demoni e questioni educative affinché il Toro si prenda per le corna. In macchina il termosifone, pardon il termovalorizzatore, sorry, il termometro segna 37,6 gradi. A Firenze dormimmo e un intellettuale, la faccia giusta e tutto quanto il resto ci disse “nel mio salotto c’è un uomo con un tatuaggio sul braccio (e altri sparsi) e tre donne per un totale di 8 tatuaggi. l’unico non tatuato sono io. Vorrà dire qualcosa?” La moglie dell’intellettuale cucina un’ottima pasta fredda che oggi non è la schiscetta di nessuno al lavoro ma che comunque riscuote il suo successo con premio della critica per il perfetto equilibrio di forma e contenuto. A tavola si chiacchiera di te e tutti voi altri, tra il pettegolezzo, il confronto costruttivo e i progetti per il futuro. Quando chiedo di vedere le foto del matrimonio effettivamente i dubbi sul fatto che si potesse arrivare puntuali al Magnolia aumentano. Caffè con gelato, amaro con caffè, io senza te uno scettro senza re, e i cocci sono i suoi.
‘No, compagni, amici, io disapprovo il passo, manca l’analisi e poi non c’ho l’elmetto’
Siamo arrivati. Il parcheggio è sempre più a pagamento. 5 euro. AZZ.
A Orvieto poi ci fu l’apoteosi.
Mentre facciamo la nostra entrata trionfale con lo stesso fascino dei Backstreet Boys nel video As long as you love me captiamo una “Lontano dagli occhi” ma al posto di Sergio Endrigo, gli Ariadineve in versione estiva. Credo di aver perso gli Stead, raccoglierò più tardi qualche parere su di loro e nella giornata di oggi mi tufferò sul loro myspace e su youtube per vedere se devo mangiarmi un gomito. Ma tanto ci pensano comunque le zanzare. Gli Ariadineve non lasciano il segno nel mio cuore ma da un po’ punto i due palloncini gonfiati con l’elio che esibiscono fieri sul palco. Se fossi una fotografa sarebbero soggetti interessanti da fotografare, esteticamente validi: spicca su tutto il vestitino verde acqua quando sei sott’acqua della cantante. Non capitano bene perché stasera io e le altre due zie dell’indie siamo alla ricerca di plagi, assonanze e ironia facile, oltre ad avere costantemente un’indole acida e critica ma solo se prese tutte e tre insieme. Separatamente siamo anche delle belle persone che non necessariamente regrediscono agli anni dell’adolescenza. Cogliamo a tal prop
osito l’occasione per comprare la maglietta “Cosa volete che ce ne freghi” degli Amor Fou, l’acquistone e vanto della serata (non sapevamo che da lì a qualche mese questo fatto avrebbe cambiato completamente la nostra vita). Tre t shirt nere, S, M, L che grazie ad un attento esame di coscienza diventano una M, L, L: ci deve coprire i reni non siamo mica ventenni, noi, al contrario ci saremmo chiamate le figlie dell’indie, no. Finalmente salgono gli Amor Fou. Sfoggiano quasi tutto il loro nuovo disco con non troppa convinzione, perdono in incisività a fronte di un album registrato – che personalmente ho già consumato – molto godibile. Forse non ci credono tanto, mi confronto con le zie che stanno facendo pablicrelascion, le guardo e sono belle come sanno esserlo le donne in estate. Su “Cos’è la libertà” appaiono i limoni aggrappati alle labbra, qualche proposta di matrimonio, alta concentrazione di Autan nell’aria e bizzarre composizioni floreali tra i capelli di giovani apprendiste groupie. Paolo Leslie Perego senza pizzetto è Padre Pio. Per questo a fine concerto gli ho baciato le stimmate. Leziero Rescigno ad ogni concerto che ho visto è il migliore in campo. Classe e precisione sopra e sotto il palco. Julien Dottori con l’aria scanzonata dell’eterno ragazzo sembra perso oltre la musica che sta suonando: gli si vuole proprio bene a Dottori. Questa volta niente scenetta a rallentatore per noi. Alessandro Raina: non pervenuto.
MOL THE NI. MOL THE NI. MOL THE NI.
il capitano disse “Va bene, così sia”
Io, il re, l’intellettuale, e LaZia ci appostiamo in prima fila aspettando trepidanti Umberto Giardini in concerto.
Grazie all’esame all’università di teoria e tecnica dei messaggi subliminali siamo riusciti a far inserire in scaletta seppur non prevista la canzone che in quest’ultimo mese ci ha ossessionate,“Ieri” un inedito eseguito da Moltheni e band solo nei bis.
E’ gentile, Umberto. Ringrazia sempre Umberto tra una canzone e l’altra con quel suo modo affettato di arrivare in fondo alla frase. Ci piace, non c’è che dire. Il pubblico canta a squarciagola ogni singola canzone. Va a colpo sicuro Umbertico. Le sappiamo tutte. E’ ben equipaggiato: Gianluca Schiavon alla batteria sembra un prestigiatore, Giacomo Fiorenza in assetto di centro palco in tutto il tour c’è, Bocchino e Maracas vanno in coppia come Gianni e Pinotto, o forse, a noi piace ricordarli così. Che ve lo dico a fare. Che ve lo dico a fare che cosa è successo quando inizia il valzer di Propriocomelovolevitucomelovolevoiocomeraieri.
Le zie in visibilio come quando in ospedale è femmina. Il video che doveva riprendere la nostra performance non parte. La folla ci fa spazio. Mentre dondoliamo le braccia in aere, Umberto ci sorride (quando si dice, si vede solo quello che si vuol vedere) e noi siamo contente così. Emozionante come il primo giorno di primavera. “Addio Milano”, dice. Ma come, Umbè, mica puoi, hai ancora tanto da dire, hai tanto da dire bene. Ci proviamo a chiedere un secondo bis. Ma niente da fare. Siamo soddisfatti, certo, ma anche ingordi, così sfasciamo le righe con un leggero malincuore diventando pois votati alla conversazione. Si chiacchiera amabilmente così fino alle 3 quando ricordo solo di essermi messa in macchina con la mia frase di esordio “però … strano, non sono mica stanca, di solito a quest’ora … “. Il tempo di decidere di postare o meno foto compromettenti della serata su facebook e collaudo il mio nuovo paio di palpebre chiuse da viaggio per l’estate. La gente ci amava e questo è l’importante.
Tanti auguri Artevox, da parte delle zie.
Continuate a fare belle cose.
PS. Poi le foto non le ho postate, tranquillo Ratzinger.
(Chiara Gandolfi)
Foto: Carlo De Filippo