Dopo un leggero pranzo con amici e colleghi romani, venuti appositamente per l’evento, ci accingiamo a partire sotto un sole afoso. Destinazione: Castello Estense, Ferrara. La mia ansia da concerti live soldout mi ha fatto acquistare i biglietti in prevendita, pensando di evitare una fila… peccato che più o meno 2000 persone hanno avuto la mia stessa idea.
Riesco finalmente ad entrare nella location, il tempo di ambientarmi, guardare il programma, sentire il sound check dei Uochi Toki e dirigermi verso il Cortile Del Castello, da dove non mi sposterò fino al concerto dei Tre Allegri Ragazzi Morti (visto la fila che ho fatto per entrarci).
Vengo accolta alle 18:30 dai Cosmetic, nuovo gruppo di casa “La Tempesta”: L’adrenalina e la grinta che la band riminese regala sul palco è unica e, ti fa dimenticare per un attimo il caldo che aumenta e, le zanzare che sono già partite “all’attacco”!
Armata di Autan e birra fresca aspetto paziente Il Pan del Diavolo. Il cortile incomincia a riempirsi, tanto che è impossibile rimanere seduti. Arrivano sul palco e la piazza per magia si anima: gente che balla, parla, canta, l’atmosfera è quella di un concerto degli anni settanta. Il tempo di riscaldarsi e prenderci gusto che, purtroppo, devono lasciare il palco ad altri artisti.
Il cortile si svuota leggermente e io ne approfitto per avvicinarmi… tra poco saliranno gli Zen Circus e, nel frattempo, fa la sua comparsa nel cortile anche Nicola Manzan. Il tempo per poche chiacchiere e saluti che dal palco parte l’inno di Mameli. Volto leggermente lo sguardo e, la piazza che prima era semivuota, ora non ha neanche un angolo libero. Dopo un corale “Andate tutti Affanculo” comincia uno strepitoso concerto: da “L’egoista” a “Vent’anni” la piazza si infiamma, cantando a squarciagola e seguendo il ritmo con le mani su “We Just Wanna Live”. Non si poteva non concludere con “Figlio di Puttana”. Il pubblico reclama, troppo pochi 30 minuti per gli Zen Circus ma, come ricordano loro oggi è la giornata de “La tempesta” e di ottimi artisti, non solo degli artisti di “Puttana”.
Vorrei uscire per godermi i Sick Tamburo ma, purtroppo, si pone lo stesso identico problema: una volta usciti dal cortile, è difficilissimo rientrare visto che la capacità è di 900 persone e tocca sempre infilarsi in una coda. E’ l’unica pecca di oggi, oltre ai volumi e alla non possibilità di intervistare alcuni artisti ma, non vi preoccupate, mi sono segnata già le domande nella speranza di poterli incontrare in altre occasioni. Rimango quindi nella mia postazione… le luci diventano più intime e si preparano alla sera che incombe. Diventano un rosso fuoco, perdonate il gioco di parole ma, ovviamente, non poteva esserci luce migliore per Giorgio Canali e i Rossofuoco feat. Frigidaire Tango.
A questo punto il mio racconto si incrocia e diventa unico con quello di Antonio, arrivato finalmente a Ferrara. Lascio quindi il foglio e “la penna” a lui per descrivere una serata che difficilmente si dimentica e che, racconta quello che ancora di “buono” c’è in Italia: la meglio gioventù esiste ancora ed era presente ieri a Ferrara!
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Pensavamo di aver sbagliato evento. Pensavamo che all’interno del Castello Estense si stesse celebrando uno dei tanti anniversari di questo nostro disgraziato (cito uno dei protagonisti della serata) Paese. C’era l’inno di Mameli e la folla era tanta da far presagire la presenza di una delle più alte cariche del nostro Governo; Che il Premier in persona insieme al suo personale strimpellatore Apicella sia a Ferrara per una visita istituzionale? Per fortuna (sua) no! Noi eravamo fuori a fare la fila e dentro si celebrava lo spettacolo della musica indipendente (suvvia non storcete il naso, bisogna pur dargli una definizione) che dovrebbe essere glorificata più volte l’anno con eventi come questo. Purtroppo entrare nel cortile estense significava fare una fila immobile, dato che non entrava nessuno se contemporaneamente non sarebbe uscito qualcun’altro e chi era dentro si è guardato bene dal decidere di uscire per una boccata d’aria, ingoiando quello che stava avvenendo in quei momenti; Il set degli Zen Circus (l’inno d’Italia è ormai un rito nei concerti di Appino e soci) viene assorbito dai corpi sudati dei presenti che stipati e contenti non lasciano fuoriuscire nemmeno una nota al di fuori della piccola corte; non ci resta altro che trovare un buon posto perché di lì a poco sarebbe iniziato il set di Moltheni. La luce del giorno bacia ancora tutti e se ti giri intorno scorgi i visi un po’ affaticati dalla calura, ma innamorati e felici, dei partecipanti e tra un fattone che sorride al cielo blu e la coda per accaparrarsi una birra (?) fresca, si incappa più o meno facilmente in Dente che assieme a Gianluca Gambini (batteria) bivacca in giro alla ricerca di non si capisce bene cosa. Oppure incrociare il sorriso malinconico di Vasco Brondi al di quà delle transenne o ancora lo sguardo mefistofelico di Giorgio Canali che fa su e giù senza grossi problemi (nonostante la fila congestionata) dalla piazza principale a quella più intima dove poco dopo si sarebbe esibito.
Trovato un posto comodo dove poter assistere al concerto di Moltheni, l’afa inizia a scemare e sale Umberto che proprio prima di iniziare il live set sputa addosso a Gianluca (Schiavon, batteria) pezzi di mela, si sistema alla destra del palco, e strappa sorrisi ai presenti. Parte l’intensa “Vita Rubina” e sembra richiamare a sè il buio della notte che inizia a calare sulle nostre teste. Purtroppo il folto programma dell’evento non ci permette di godere appieno dell’esigua mezz’ora messa a disposizione per Moltheni (e per quasi tutti gli altri artisti) perchè di lì a poco sarebbe iniziato il concerto di Giorgio Canali nel cortile interno. Nel frattempo, grazie all’esibizione di Moltheni, la fila è tornata a livelli decenti. Entriamo e la prima cosa che noto è il calore amanato dai corpi ammassati in quell’angusto spazio. Arriviamo giusto in tempo per sentire la voce di Canali che si presenta al pubblico con “Questa canzone è dedicata a questa città di merda!”. Ovviamente il delirio si scatena sulle note di “Se viene il lupo” seguita a ruota da “Mostri sotto il letto”, “Nuvole senza Messico” e “Precipito” (forse non esattemente in quest’ordine), quest’ultima con una seconda dedica: “Questo pezzo è dedicato ad un eroe di merda, di quest’epoca di merda… Taricone!”. Proviamo a congedarci da Canali, per prendere posto al prossimo concerto nella piazza grande, proprio quando lui lascia il palco ai Frigidaire Tango, i quali hanno accompagnato, insieme a Rodrigo D’Erasmo, l’artista emiliano.
La fame inizia a farsi sentire (sono quasi le 22,30), decidiamo di uscire fuori tra le vie di Ferrara per placare l’appetito e con stupore notiamo un leggero capanello di persone davanti ad un bar. Pensavamo di trovare prelibatezze a prezzi modici, invece c’era “solo” Pierpaolo Capovilla (con l’immancabile bicchiere di rosso in mano) a dispensare sorrisi e disponibilità per le foto. Si ritorna dentro che l’incredibile spettacolo de la vita y de la muerte imbastito dai Tre Allegri Ragazzi Morti è già iniziato da un po’. Devo confessare di aver seguito sempre poco la band di “El Tofo” e sarà per questo che i pezzi estratti dall’ultimo album (la svolta reggae di “Primitivi del Futuro”) non mi entusiasmano tanto, anche se “La ballata delle ossa” e “Puoi dirlo a tutti” restano ben impresse e si lasciano canticchiare piacevolemte, mentre i brani annodati a doppia mandata agli album precedenti risultano efficacissimi nella dimensione Live (ammetto pure che questo è il mio concerto dei TARM). Molti, moltissimi hanno la tetra mascherina d’ordinanza e urlano a squarciagola quelli che ormai sono diventati gli inni della band, mentre nel finale si consuma il rituale consolidato tra Toffolo e il suo pubblico: “la vita è cattiva, ma non l’ho inventata io, il concerto è finito e…”dopo ripetuti “vaffanculo” del pubblico la band parte con gli ultimi “stupidi” brani finali (“La Tempesta” “Mio fratellino ha scoperto il rock’n’roll”) prima di congedarsi con il pubblico, che oramai si è riversato tutto davanti al palco principale.
È la volta del padrone di casa: Vasco Brondi. Anche lui con i postumi da “ragazzo morto” sale sul palco con la maschera mortuaria. E si rivede nuovamente Rodrigo D’Erasmo al violino, mentre l’altra chitarra è suonata da Stefano Pilia. La notte adesso è scesa, si è fatta bassa bassa fino a sfiorare le teste di tutti e le stelle, attaccate al manto nero della notte con lo scotch, brillano e si rattristano un po’. Il Vasco nazionale (il nostro vero Vasco nazionale) scarta una ad una tutte le canzoni tratte dal suo “best of” composto da un solo album. Tutti cantano e qualcuno piange, perchè i testi di “Piromani“, “Per Combattere l’acne” e “Produzioni seriali di Cieli stellati” scavano dentro fino a sfregiarti le ossa; le urla disperate e storpiate si fissano nelle orecchie e non puoi farci nulla perchè restano semplicemente lì, incollate ai tuoi padiglioni auricolari. Prima del finale con il Teatro degli Orrori c’è tempo per un piccolo cameo di Mimì Clemente e la cover de “La domenica delle salme” di De André.
Potrei anche fermare qui il mio Live Report, dato che sono veramente pochi quelli che non hanno ancora assistito ad un live della band di Pierpaolo Capovilla e Soci (sono in giro da talmente tanti mesi che oramai anche i casellanti dell’Autostrada sanno chi sono) ma proverò a tratteggiarli sotto un punto di vista diverso (almeno ci provo): Forse è solo la stanchezza ma la prima cosa che noto è il numero di fotografi che sembra aumentato rispetto a tutte le altre esibizioni dell’evento. I TDO oramai sanno come “trattare” con i fotografi, molto spesso sembra che restino volutamente in posa (Pierpaolo su tutti) e ci sono momenti in cui sai già quale sarà la prossima canzone ancor prima che parta la musica (immobile si fissa il polso negli attimi di silenzio prima di “Majakovskij” e con il microfono che punta il cielo “È Colpa mia”). Il set (come per tutti) è breve e la lancetta dei brani pende su quelli del nuovo album (mancavano all’appello “Io ti aspetto”, “Mai dire mai”, “Direzioni Diverse”, “Alt” e “Die Zeit”) senza trascuranre però alcuni “classici” come “Compagna Teresa”, durante la quale Pierpaolo interrompe per alcuni secondi la sfuriata rock, impostando uno sgangherato ma sincero elogio (in vino veritas Ndr) alle donne per poi ripartire nuovamente più incendiari di prima. Il miele colante è dato in pasto alle api fameliche del pubblico e dal lato del palco, sulle impalcature, vengono attirati pure Vasco Brondi e Rodrigo D’Erasmo, i quali si godono lo spettacolo da una posizione abbastanza privilegiata. Il finale è affidato alla struggente “La canzone di Tom” e la Tempesta si acquieta lasciandoci visibilmente stanchi, senza fiato ma tutto sommato appagati. Purtroppo avere due palchi (e tante ottime band) portava inevitabilmente a perdersi qualcuno; c’è da dire che la corte estense era davvero troppo piccola e la coda che si formava per entrarvi diventava davvero estenuante, però con una location così scenografica si può chiudere un occhio al suddetto inconveniente ed aprire il cuore alle schegge imbevute di musica ed in alcuni casi di pura poesia contemporanea.
Durante il viaggio di ritorno, con ancora l’eco della serata nelle orecchie, per puro caso ci si è imbattuti nel programma radiofonico di Radio1 “Stereo Notte” durante il quale c’è stato un collegamento in diretta con Pierpaolo Capovilla da Ferrara. Le domande erano quelle già sentite in altre mille interviste, ma è stato comunque bello farsi accompagnare fino a casa dalla voce (e dalla musica) di Pierpaolo.
(Stakanovista Rock – Antonio Capone)
(foto: Elena Sartorari)