Poche sono le occasioni, fuori dalle grandi città, per ascoltare bella musica live. E quando certe occasioni arrivano, bisogna stare attenti a non farsele scappare.
È il caso del Panic at Shindy, concerto più unico che raro che ha raggruppato per l’occasione almeno 3 tra i nomi più importanti della scena underground Italiana: Beatrice Antolini, …A Toys Orchestra e Zen Circus.
Sono le 17.30, dovrebbe iniziare a suonare il primo gruppo, ma un ritardo nel soundcheck rallenta il programma. E intanto il piccolo giardino si riempie, complice un’inaspettata giornata primaverile dopo la pioggia incessante dei giorni precedenti.
Dopo quasi due ore, ecco che salgono sul palco i Red Worms’ Farm. All’apparenza possono sembrare una band improvvisata, essenziale nella formazione (voce-chitarra, basso e batteria) e semplice nell’aspetto. Proprio per questo, appena attacca il primo accordo, tutto ti aspetteresti meno una tale potenza e compattezza del suono; e non si direbbe che tanto rumore possa venire solo da tre strumenti. Quindi, nonostante le poche aspettative, ne esce un’esibizione del tutto degna dell’attesa e non inferiore ai gruppi che di lì a poco avrebbero calcato lo stesso palco.
Dopo una carica di punk-rock alternativo, arriva la “first lady” del festival, Beatrice Antolini. Cose incredibili si dicono su questa giovane donna, ma nulla regge il confronto con una sua esibizione dal vivo. Apre la sua performance con “Venetian Hautboy”, e l’impatto è esplosivo. Chiunque provi a catalogare il genere di questa musica si rassegna all’originalità, alla miscela di suoni che possiamo solo cercare di spiegare come un insieme tra la pazzia di Björk in “Volta”, l’elettronica di Daft Punk e Chemical Brothers incorniciato da una timbrica vocale alla Gwen Stefani. Ma non è tutto. Non’appena credi di aver capito l’esibizione che ti attende, ecco che attacca “Funky Show”, e l’atmosfera cambia ancora radicalmente. Tra bonghi e sax, Beatrice si muove con destrezza e sicurezza, per non parlare della frenesia con cui padroneggia tastiere e sintetizzatori, al pari di un piccolo folletto tra i boschi dell’eclettismo.
Seguono gli …A Toys Orchestra, ma Beatrice resta sul palco a suonare con loro, come ha fatto altre volte. L’intro è degno dei grandi concerti del mainstream internazionale: parte un accordo sommesso in sottofondo, per poi farsi avanti il prepotente riff di basso iniziale di “Backbone Blues”. È la prima volta che suonano a Vicenza, ma con un preludio del genere hanno conquistato tutti i presenti. L’intera esibizione è un’alternarsi tra canzoni dell’ultimo “Midnight Talks” (leggi la recensione) ma anche di “Technicolor Dreams” del 2007; per questo si susseguono l’incisiva “Mystical Mistake”, la più pacata “Invisible” con qualche eco alla Radiohead e “Celentano”, più spensierata. Base comune tra i brani “vecchi” e nuovi, tra i più graffianti e i più profondi, è forse la nota di stile della voce di Ilaria d’Angelis, che quando meno te l’aspetti si insinua tra le canzoni e le connota in modo inequivocabile, un timbro per la band com’è solo Kazu Makino per i Blonde Redhead.
Sono già le 23, il cielo si è definitivamente oscurato e crea l’atmosfera perfetta per i Frigidaire Tango. Parte lentamente un basso e in un’attimo si unisce un tagliente accordo distorto; com’è successo per tutta la giornata, s’intuisce un nuovo cambio di genere. Veniamo subito catapultati negli anni ottanta dei Joy Division, periodo d’oro per i Frigidaire. Non serve essere degli estimatori del genere per apprezzare i brani storici e quelli dell’ultimo “L’Illusione del Volo”; “Russian Dolls” coinvolge tutti e la voce tenebrosa di Charlie Cazale riporta i nostalgici indietro nel tempo di quasi trent’anni.
La serata procede e si conclude per contrasto. Più per necessità che per volontà, gli Zen Circus si esibiscono in acustico; i ritardi accumulati nel pomeriggio infatti hanno inevitabilmente leso la band toscana, che però riesce ad ovviare il problema rimediando con un’esibizione, suo malgrado, indimenticabile. Ciò che doveva essere un concerto diventa infatti un happening: Appino e soci si siedono a bordo del palco, attorniati dai fan fedeli che trasformano “Vent’anni” e “Figlio di Puttana” in inni nazionali, cantati a squarciagola anche se accompagnati soltanto da una chitarra acustica e dei tamburi. E chi l’ha detto che il rock è fatto solo di amplificatori e riff orecchiabili?! A mezzanotte inoltrata regna il D.I.Y. – Do It Yourself, che salva un’esibizione tra le più attese e la rende, tra qualche polemica, epica.
Un festival così eterogeneo si dimostra unitario forse sotto pochi aspetti, su tutti innovatività, passione per la musica, voglia di divertirsi. E alla faccia di chi dice che l’underground è tutto uguale.
(Roberta Confente)