Capita di tanto in tanto che parlando di musica ci si lasci andare a giudizi affrettati, capita di fare quelli snob, quelli che la sanno lunga, quelli che “mamifacciailpiacere!”. Capita a me e di sicuro capita anche a voi che magari per caso vi siete imbattuti in questa recensione.
Per questo motivo lo sforzo, se così si può dire, che ci richiede “Holy changing spirit”, terzo album delle Jains, è quello di essere ascoltato senza pregiudizi idioti, ad esempio senza pensare che alla voce e chitarra ci sia Kris Reichert (se il nome non vi dice molto un giro su google immagini potrebbe aiutare) che in passato ha legato il suo nome ad Mtv e non solo e che per questo porta inevitabilmente (forse anche suo malgrado) un tocco di mai abbastanza disprezzato glamour.
Le Jains sono un duo rock al femminile, alla batteria c’è Anna di Pierno oltre alla già citata, e con questo album promettono di ampliare le vedute andando alla ricerca di suoni diversi da quelli del passato. Una dichiarazione di intenti che è un piccolo sollievo considerato che la band nei dischi precedenti suonava in modo pericolosamente simile alle Hole.
Tuttavia il disco si apre in pieno spirito anni novanta fra riff di chitarre distorte e cantato graffiante che mettono la spunta ad ognuna di quelle che sono le note distintive del genere. Un rock ottimo nella sua confenzione ma che pure nei suoi episodi più fortunati, come nel caso del primo singolo “No Limits”, manca di elementi realmente originali e difficilmente rapisce l’attenzione.
Le cose vanno invece decisamente meglio quando le atmosfere si fanno più morbide, laddove le Jains accantonano le velleità più riottose per mettersi alla prova con le ballate acustiche.
Che sia questo il cambiamento annunciato? Sta di fatto che da questi pezzi escono fuori le melodie più convincenti. “Holy changing spirit” che dà il titolo all’album assume toni più intimi e mette in luce le capacità cantautorali del gruppo. Degna di nota è anche “Light above my head”, che cresce languida e suadente per poi chiudersi con una coda quasi noise, e subito a seguire c’è l’incedere dolce ed efficace di “Out of my body”. Solo in chiusura, con “Star”, compare il pianoforte per un brano che sembrerebbe quasi ricordare Joan as Police Woman e che apre ulteriori nuovi orizzonti alle Jains.
Insomma nonostante le ragazze si dimostrino certamente talentuose il disco nel suo complesso non può proprio dirsi un capolavoro, ma se qualche carenza appare nei brani più ruvidi e aggressivi questa viene compensata dai pezzi presenti nella seconda metà della tracklist, più intensi e certamente più riusciti. E nel caso in cui le Jains decideranno coi prossimi dischi di intraprendere nuovamente questa seconda strada, in un ideale percorso di compimento, c’è ragione di pensare che troveremo altre e maggiori piacevoli sorprese ad aspettarci.
(Alberto Mazzanti)