C’è un ritorno di fiamma in quelli che furono i gloriosi anni in cui la scena grunge fece i suoi primi passi a Seattle per poi esplodere in faccia al mondo musicale degli anni 90; si rifomano gli Stone Temple Pilots ed i Soundgarden con i membri storici (questi ultimi senza Cameron che comunque milita nei Pearl Jam), gli Alice in Chains sono in tour dopo l’uscita dell’ultimo album, Billy Corgan sta provando a riportare a galla gli Smashing Pumpinks ed i Pearl Jam sono sempre lì, rafforzati dall’unione della band e da i propri fans che oramai hanno solidificato il proprio affetto per il gruppo di Vedder e Co.
Tutto questo serve per introdurre i Big Trivella che hanno fatto tesoro di quegli ascolti per proporre un suono che si avvicina tanto (a tratti pure troppo) alle sonorità dei primi Nirvana; “I’m Insane” e “Bury me” resuscitano i ruvidi brani tratti dall’album d’esordio del trio di Seattle “Bleach”, mentre invece l’attacco iniziale di “Womb with a view” ricorda certi passaggi bluesy degli Alice in chains. Si discosta leggeremente “G.E.G”, la quale scava ancora di più nei solchi di quel suono andando a ricercare i Sonic Youth o i Mudhoney che furono i primi alfieri della scena grunge. La conclusiva “Layline” potrebbe gettare le basi su qualcosa che non sia troppo legato alle band sopraccitate (anche se in tutti i brani la voce di Giovanni richiama da vicino l’ugola dello scomparso Cobain); si snoda in quasi sette minuti in cui come una specie di fisarmonica si apre su toni lenti per poi cospargere tutto con schizzi di rabbia e ripiegarsi di nuovo su stessa e diventare morbida e levigata.
Un mini-album, “Dull Roots”, che vive nel passato e che potrebbe trovare estimatori nei nostalgici di quel periodo dato che la band romagnola sembra intenzionata a ripercorrerne le gesta, tuttavia con un evoluzione maggiore potrebbero regalare emozioni a chi non è più disposto a riaprire il baule dei ricordi.
(Antonio Capone)