C’è un sottile filo argenteo che unisce Il Piemonte e la Sicilia. Questo filo si stringe ancora di più tra Cuneo e Messina, lasciando lunghi solchi violacei sulla pelle. Difficile pensare che due città così distanti possano essere accomunate da un suono che parte dal lontano 1994 per circumnavigare il tempo ed arrivare nel 2010. Il debut album degli Entourage raccoglie (non in modo fazioso e impersonale) un’ eredità sonica iniziata in Italia dalla band di Godano con un approccio moderno e senza polvere. “Lettere moderne” apre l’album quasi in punta di piedi per poi allargare il suono e far entrare chitarre tese e le urla di Luciano nel finale. Il disco si divide spesso tra lucida rabbia e momenti più intimi e riflessivi, ne sono un esempio l’onomatopeica “Boom” che sprigiona proprio tutta la forza della band in un brano che potrebbe diventare anthemico nei live, come pure “Supercar” o “Age” con paesaggi post-grunge nervosi. Mentre il lato più intimo di “Prisma” è racchiuso soprattutto nelle conclusive “Filosofale” e “Tra le mie grida” supportate da testi che gravitano intorno a relazioni personali tra individui persi ormai in un presente dove del passato resta soltanto una fotografia sbiadita o un ricordo ingiallito “Non c’è che più sarò a far la vita con te/ Non c’è che più sarò per me conclusa/(…)Non c’è che più sarò e intanto brucia/Non c’è che più sarò ferisci e uccidi anche se/Non c’è che più sarò eri preziosa…”.
In mezzo a tutto questo c’è posto anche per un attimo di sperimentazione; in “Xself” la struttura sonora dei Prisma si accavalla ad una sorta di Blob uditivo, dove spezzoni di telegiornali, film ed interviste a politici vengono assemblaei in un cut-up alienante (proprio come il Blob televisivo di Ghezzi). Scenari post-rock si dischiudono in modo lento ma schiacciante nei brani più lunghi di questo album; Se provate a chiudere gli occhi in “Zo” potreste non notare la differenza tra la voce di Luciano e quella di Godano. “Yoga” cova dentro una collera, dettata dalle percussioni, che non riesce però a sfociare, restando in una sorta di equilibrio represso, mentre in “Segnali di fumo” la rabbia di cui sopra riesce a trovare forma nel giusto intreccio degli strumenti, e veicolo nei nove lunghi minuti con coda finale impazzita.
Un lavoro (il secondo) che ci rimanda una band con le idee chiare e padrona dei propri mezzi. “Prisma” non sembra per niente frutto di un gruppo proveniente dalla Sicilia, colpa (per fortuna aggiungerei io) probabilmente dei recenti cambianti climatici i quali hanno giovato sulle influenze umorali della band.
(Antonio Capone)