“Guardo fisso la finestra/ Aspetto che il giorno finisca/L’inverno in tinte d’acquerello/Sfumature di grigio.” Inizio a parlare del secondo album della band partenopea parafrasando una canzone che si è infiltrata negli ascolti quotidiani mentre lo stereo era in random e scrivevo questa recensione. La canzone citata in apertura (“Another Day”) è stata scritta da una persona che di esistenzialismo ed ineluttabilità dello scorrere delle cose (e del tempo) ha fatto la sua fortuna musicale: Robert Smith, il quale non ha nulla da spartire con la band se non quel gelido richiamo verso sentimenti (auto)distruttivi riportato su piani musicali differenti.
I dodici gradi di grigio del titolo possono dare un idea del filo rosso (o grigio, in questo caso) che si stringe intorno ai polsi di ascolta e decide di affrontare questo lungo percorso; le tonalità non sono scelte a caso, perchè i brani presenti nell’album rispecchiano un sentimento di oppressione che impregna la propria sofferenza e frustrazione su una struttura sonora che passa da tonalità grigio scuro post-grunge ed alternative nervoso a là A perfect Circle (“L’Equazione”,”Occhiodipesce”, “La Struttura del vuoto” e “Beautiful Sadness”), ad un grigio più attenuato, morbido e melodico come in “L’altro”,”Caratteri”, “Dentro” e “La lettera”; in quest’ultima Michele De Finis cerca un compromesso con il dolore delle parole “Parlami di niente / di luci spente/ di cose violente (…) Onde di schiene/ curve di carne/Mordo ancora pelle nuova…” e avvicina il suo timbro vocale a quello di un Niccolò Fabi straziato e “diversamente melodico”. Si arriva al quasi bianco introspettivo di “Etere”, “Inlamina” ed “Istruzioni (per un addio)”: la prima in bilico tra un allucinazione ad occhi aperti ed un incubo ricorrente che rimbomba tra le palpebre serrate. La seconda, musicalmente scarna e sporcata da rumorismi di chitarra, è sorretta da “spoken words” (che non possono non ricordare i “racconti in musica” di Emidio Clementi) in grado di dare risalto ad un testo suggestivo e poetico: “Questo è come comincia il mio giorno/ fotografie seppiate ai bordi/ occupano spazio su muri mezzi vuoti/come polvere si accumulano i ricordi di un passato imprecisato”. La terza canzone, che chiude l’album, è un sussurro sonico prima della dissolvenza finale su un rapporto ormai malato e moribondo.
“Dodicigradidigrigio” ha un forte impatto sotto tutti gli aspetti, e la scelta di soluzioni (melodiche, di composizione e testi) complesse e audaci è sinonimo di maturità e sicurezza dei propri mezzi.
La tela su cui dipingono i personaggi contenuti nell’album potrebbe avere una vasta gamma cromatica, ma l’amalgama del bianco con il nero ha creato 12 tonalità emozionali difficilmente raggiungibili con altri colori.
(Antonio Capone)
Myspace – Scarica la compilation con il brano “La Struttra del vuoto”
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