C’è un pianoforte. Suona delicato e lontano, come un alito di vento si avvicina sempre più fino a farsi spazio nelle tue orecchie ed adagiarsi lì. In modo pacato. Senza chiedere altro che essere ascoltato, ma dura troppo poco e vorresti andare in rewind per riascoltarlo. Tentenni. Prosegui. Ora i suoni diventano colorati e sfarfallano dappertutto. Immagino la copertina di Bjork (Post) con la tavolozza cromatica alle sue spalle, a suggerire un mondo sfavillante ed iperbolico.
Continuo il mio percorso sonoro ed arriva “Døra”; sembra di ascoltare il fratello minore di Thom Yorke che rimaneggia “The Eraser”; pattern sonori si accavallano con il cantato, il quale non sovrasta ma accompagna, quasi fosse un ulteriore strumento, le melodie elettroniche. In “Taleopptak” c’è una batteria che nel bel mezzo del brano cerca una via di fuga dalle onde sintetiche e non riuscendoci, si stratifica ad esse per conviverci e vagare nel torrent(e) di luci baluginanti. Le reminiscenze con il calore glaciale dei Sigur ros sono evidenti, basta ascoltare “#22 soundtrack” (ma un pò tutto l’album ne è vagamente contaminato) per scoprire un gioiello elettroacustico in bilico tra le visioni del duo ed il riverbero vocale che tiene per mano la struttura sonora. Accolgo l’arrivo di “(low)” e non può non ricordarmi quei paessaggi sonori tanto cari ai Mùm. Accade lo stesso anche per L’incipit di “Infinta martine (20 lilje): end act” . Quest’ultimo brano sfocia, nella coda finale, in post-rock elettronico che chiude il cerchio per arrivare dove tutto era iniziato, al primo atto di questo viaggio. Ma in questo viaggio si fa tappa anche in posti più irrequieti ed energici; “N novella?” e “Hurra+” si fanno carico di certo industrial teutonico e da film d’azione; Acido e ammaliatore, che strizza l’occhio a certi oscuri dancefloor dove creature nerovestite danzano fino all’alba di un nuovo giorno. È il caso di dire che il titolo di questo album è aderente alle sue intenzioni; colonna sonora di un film mentale dove i due protagonisti tratteggiano scenari ora struggenti e delicati, ora caotici ed organici. Portando l’ascoltatore in un non-luogo creato per costruire ciò che ancora non c’è.
La band italiana, composta da Alessandro Degli Angioli e Michele Ducci, assembla un primo album che non disdegna di essere accostato ai grandi nomi fatti tra le righe di questa recensione, ma anzi merita di essere condiviso, come un virus, da chi non si ferma davanti ad una band sconosciuta (e italiana). Anche il packaging e l’artwork di “soundtrack” sono molto curati ed invito a dargli una possibilità. Nel link è possibile ascoltare l’album per intero.
(Antonio Capone)
Myspace – Scarica la compilation con il brano “naif.Super”